Al giorno d’oggi il modo di comunicare è cambiato: la vecchia corrispondenza epistolare nell’epoca dei social network ha ceduto il passo a quella telematica, elettronica.
È bene precisare fin da subito che la corrispondenza, a prescindere dalle modalità con cui venga trasmessa, deve essere intesa in senso ampio come comunicazione riservata unicamente al suo destinatario.
Dunque, è punito sia chi apre la busta chiusa indirizzata a terzi sia chi si intromette nella posta elettronica altrui, la quale si deve considerare parimenti “chiusa” dato che l’accesso è protetto da una password.
Ciò detto, a leggere le email del partner senza il suo consenso e a sua insaputa, si rischia l’incriminazione per diversi reati, disciplinati nel codice penale.
Quali reati?
Secondo una recentissima sentenza della Corte di Cassazione: “…la condotta di chi entra di nascosto nella email del partner per leggere i messaggi in essa contenuti, integra due diverse fattispecie di reato concorrenti fra loro…” (Cass. Pen. Sez V, Sent., 10 giugno 2021 n. 23035).
Si tratta:
- dell’accesso abusivo ad un sistema informatico o telematico art. 615 ter codice penale;
- della violazione, sottrazione e soppressione di corrispondenza art. 616 codice penale.
La Suprema Corte ha chiarito che il primo reato si consuma nel momento in cui si accede abusivamente alla casella email del partner, ed è punito con la reclusione fino a tre anni.
La seconda fattispecie invece, si perfeziona quando si apprende il contenuto della corrispondenza telematica intercorsa tra il proprio coniuge ed altri. In quest’ultimo caso è prevista la reclusione fino ad un anno o la multa da euro 300,00 a euro 516,00.
Pertanto, nel caso di accesso abusivo ad una casella di posta elettronica protetta da password si corre il rischio di essere incriminati per entrambe le fattispecie delittuose.
In particolare, la sussistenza di tale reato non è esclusa né dal fatto di conoscere le password di accesso, né dalla circostanza in cui il titolare dell’account di posta elettronica, dopo aver letto le sue email, sia rimasto connesso, consentendo così al convivente di entrare nella sua casella senza dover rubare la sua password.
Attenzione allo spionaggio domestico 3.0
Se le modalità di intromissione avvengono utilizzando delle applicazioni specifiche o appositi software (come i keylogger, strumenti informatici in grado di intercettare segretamente tutto ciò che viene digitato sulla tastiera senza che l’utente se ne accorga) ai reati summenzionati si aggiungono:
- installazione di apparecchiature atte ad intercettare od impedire comunicazioni o conversazioni telegrafiche o telefoniche art. 617 bis codice penale;
- intercettazione, impedimento o interruzione illecita di comunicazioni informatiche o telematiche art. 617 quater codice penale.
La prima ipotesi delittuosa ai sensi dell’art. 617 bis c.p. punisce, con la reclusione da uno a quattro anni, chi installa abusivamente questi programmi spia; mentre colui che si limita ad intercettare o impedire tali comunicazioni è punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni ai sensi dell’art. 617 quater del codice penale.
La violazione della corrispondenza per provare un tradimento è reato?
Il primo quesito da analizzare è se i messaggi di posta elettronica possano o meno avere valore di prova nel giudizio di separazione o di divorzio.
Sul punto vi è un contrasto giurisprudenziale: l’orientamento prevalente sostiene che se le email sono state acquisite in violazione della privacy, e dunque in modo illecito, queste non possono essere utilizzate nella causa di separazione. Altre sentenze invece lo ritengono possibile, salve le conseguenze penali a carico di chi le produce in giudizio.
Dunque, non solo si corre il rischio di rispondere per violazione della privacy e dover quindi risarcire il danno al coniuge leso, ma soprattutto vi è il pericolo di dover subire un processo penale.
Sulla questione, la Suprema Corte ha ribadito che: “i doveri di solidarietà derivanti dal matrimonio non sono incompatibili con il diritto alla riservatezza di ciascuno dei coniugi, ma ne presuppongono anzi l’esistenza, dal momento che la solidarietà si realizza solo tra persone che si riconoscono di piena e pari dignità” (Cass. pen. sez. V, sentenza 08/11/2006 n° 39827).
Quindi, la necessità di raccogliere delle prove al fine di esercitare il diritto di difesa in tribunale, non giustifica la condotta di spiare le conversazioni del coniuge.
In relazione a quest’ultimo aspetto, la Corte di Cassazione recentemente è tornata ad esprimersi individuando dei nuovi principi, segno di una nuova e più favorevole apertura sul tema.
I giudici di legittimità infatti hanno sostenuto la possibilità di fondare l’addebito della separazione nei confronti del coniuge, qualora dal contenuto delle email emerga un tradimento, anche solo virtuale.
In particolare, nel caso di specie, la Suprema Corte ha escluso la configurazione del reato previsto dall’art. 617 quater, comma secondo del codice penale che punisce la divulgazione del contenuto della comunicazione intercettata: “… questi reati possono essere giustificati se i contenuti delle email rubate non vengono divulgati all’esterno, ma soltanto prodotti nel giudizio di separazione coniugale per fondare l’addebito a carico dell’altro coniuge …” (Cass. Pen. Sent., n. 30735 del 04/11/2020). In altre parole, secondo quest’ultimo orientamento minoritario e di segno contrario, se la divulgazione avviene mediante la produzione delle email in un giudizio di separazione personale dei coniugi, tale modalità non integra la fattispecie penalistica, dal momento che tale condotta è inidonea a rilevare il contenuto della comunicazione alla generalità dei terzi.