Una volta accertata la penale responsabilità di una persona ed emessa una sentenza di condanna questa viene inserita nel casellario giudiziale.
La fedina penale viene “sporcata” e questo può diminuire la capacità giuridica del condannato e comportare una serie di preclusioni nel mondo del lavoro e non solo.
Attraverso l’istanza di riabilitazione possono essere cancellati gli effetti negativi conseguenti alla sentenza di condanna ripulendo la fedina penale e tornando ad essere (quasi) incensurati.
Chiunque, quindi, può aver interesse alla riabilitazione penale ed usufruire dei benefici che questa comporta.
L’effetto tipico della riabilitazione, in definitiva, riguarda la capacità giuridica del condannato, la quale, intaccata dalla sentenza di condanna, viene reintegrata nella sua pienezza per effetto della causa estintiva in esame, rimettendo in tal modo il reo in condizione di operare in società nella posizione antecedente alla pronuncia di penale responsabilità: la riabilitazione estingue le pene accessorie ed ogni altro effetto penale della condanna.
Le condizioni per ottenere la riabilitazione sono: il decorso di un certo periodo di tempo, la buona condotta, l’adempimento degli obblighi risarcitori derivanti dal reato, il pagamento delle spese processuali (sempre che non ricorrano determinate situazioni ostative).
Presupposto per poter chiedere la riabilitazione, si badi bene, è l’espiazione (o in certi casi l’estinzione) della pena principale.
Le condizioni per la riabilitazione sono:
- Il passaggio del tempo
In primo luogo, la concessione del beneficio richiede il decorso di un certo tempo, diversamente modulato a seconda della pericolosità sociale del condannato, a partire dall’esecuzione o dall’estinzione della pena principale inflitta con la condanna.
Stabilisce infatti la legge che “la riabilitazione è conceduta quando siano decorsi almeno tre anni dal giorno in cui la pena principale sia stata eseguita o si sia in altro modo estinta, e il condannato abbia dato prove effettive e costanti di buona condotta” (art. 179 c.p.).
Termine più lungo in caso di recidivi o delinquenti, professionali o per tendenza.
Il termine decorre dall’esecuzione della pena principale (essa si compie nel giorno in cui il condannato ha finito di scontare la pena detentiva oppure ha finito di scontare le misure alternative o sostitutive inflittegli in sostituzione, ovvero ha provveduto al pagamento della pena pecuniaria).
Nel caso di condanna a pena condizionalmente sospesa l’istanza di riabilitazione può essere presentata quando siano decorsi almeno tre anni dal passaggio in giudicato della sentenza (senza dover attendere i cinque anni sospensione condizionale).
In caso di affidamento in prova al servizio sociale, il termine decorre dal momento in cui la prova si sia conclusa.
- La buona condotta
Per la concessione della riabilitazione è necessario il requisito della “buona condotta”: l’art. 179 comma 1 c.p. richiede che il condannato abbia dato “prove effettive e costanti” della propria buona condotta dalla esecuzione / estinzione della pena alla concessione della riabilitazione.
Il concetto di buona condotta va riferito esclusivamente alle esigenze del diritto penale, intendendolo come sinonimo di «risocializzazione», cioè conformazione da parte del reo del successivo comportamento ai precetti del vivere civile (esempi: occupazione lecita e stabile, tenore di vita onesto e corretto, l’abbandono assoluto di ogni frequentazione o rapporto illecito, ecc. ecc.) in vista della risocializzazione del condannato.
Per un verso, infatti, la riabilitazione costituisce, per tutto il periodo del tempo di “prova” tra condanna e momento in cui può essere richiesta, un incentivo, producendo sul condannato un effetto di educazione e di creazione di abitudine al rispetto della Legge. Tale effetto permane, sia pure ridotto, anche dopo la concessione della riabilitazione, per il periodo di tempo nel quale essa è soggetta a revoca, lasso di tempo nel quale, infatti, il riabilitato sarà incentivato, se non a mantenere una buona condotta in senso ampio, quanto meno a non commettere gravi delitti, al fine di non perdere il beneficio guadagnato. Per altro verso, la concessione della riabilitazione premia il condannato per la condotta positiva tenuta, estinguendo gli effetti penali “residuali” alla data in cui si realizzano i presupposti per la concessione del beneficio.
Sul punto sono oggetto di attenta e complessiva valutazione le denunce o querele da cui il condannato sia successivamente stato oggetto o la pendenza di procedimenti penali a carico per fatti successivi a quelli per i quali è intervenuta la condanna cui si riferisce l’istanza medesima.
- L’adempimento delle obbligazioni civili (risarcimenti e spese di giustizia)
Altra condizione richiesta è l’adempimento delle obbligazioni civili derivanti dal reato. Ciò costituisce una applicazione specifica della dimostrazione della buona condotta che il riabilitando deve fornire.
Sintomo tipico dell’avvenuta risocializzazione del condannato, è il positivo interessamento di quest’ultimo nei confronti dell’offeso dal reato, concretatosi nella fattiva riparazione delle conseguenze determinate dalla propria condotta illecita. Viceversa, l’assenza ingiustificata di qualsivoglia interessamento in tal senso costituisce chiaro ed inequivocabile segnale del mancato processo di risocializzazione.
Le obbligazioni civili derivanti dal reato sono quelle indicate negli artt. 185 ss. c.p.: l’obbligo del risarcimento del danno e delle restituzioni, ma anche la pubblicazione della sentenza come forma di riparazione del danno e quello di rifondere allo Stato le spese processuali (cd. spese di giustizia).
L’obbligo di adempiere alle obbligazioni civili derivanti da reato rileva anche qualora esse non siano richieste (ad es. con la costituzione di parte civile) né siano state dichiarate né dalla sentenza penale di condanna, oggetto della richiesta riabilitazione, né da alcun’altra sentenza, penale o civili.
Ciò perché è condizione prevista dalla legge e discendente dal fatto stesso del reato, sicché non occorre che essa risulti dalla sentenza di condanna.
In ogni caso, sussiste a carico dell’interessato uno specifico onere probatorio di avere fatto quanto in suo potere per adempiere alle obbligazioni civili derivanti dal reato ovvero di dimostrare la impossibilità di adempiervi.
Rileva, infatti, l’eventuale impossibilità di adempimento delle obbligazioni civili quando il condannato pur non essendo indigente, non dispone di mezzi patrimoniali che gli consentano di eseguire il risarcimento stesso senza subire un sensibile sacrificio o le parti offese abbiano rinunciato al risarcimento oppure siano irreperibili.
Si badi bene, qualora sia certa ed incontestata la percezione di un reddito da parte dell’interessato, quest’ultimo deve dimostrare quantomeno un suo intento risarcitorio in misura compatibile con le proprie entrate.
- La non sottoposizione a misure di sicurezza
Condizione ostativa alla riabilitazione è il fatto che il condannato sia stato sottoposto a misura di sicurezza diversa dalla espulsione dello straniero dallo Stato o dalla confisca e il provvedimento non sia stato revocato.
L’attualità della sottoposizione a misura di sicurezza segnala inequivocabilmente il perdurare della pericolosità sociale del condannato, la quale, secondo la valutazione del legislatore, inevitabilmente smentisce la sussistenza del necessario requisito della buona condotta.
- Effetti della riabilitazione
Come detto, a seguito della sua dichiarazione viene meno ogni effetto penale della condanna che permanga alla data della concessione della riabilitazione.
La locuzione “altri effetti penali” è intesa in senso lato, come onnicomprensiva di ogni effetto (anche di natura civile o amministrativa) derivante dalla sentenza di condanna e idoneo a diminuire la capacità giuridica del condannato.
In particolare, la riabilitazione rimuove:
– l’interdizione dai pubblici uffici e da una professione o un’arte;
– la perdita o la sospensione dall’esercizio della patria potestà;
– la perdita del diritto agli alimenti e dei diritti successori verso l’offeso, in relazione a quanto previsto dall’art. 609 nonies c.p..
Inoltre, impedisce la valutazione della condanna agli effetti della recidiva e della dichiarazione di abitualità e professionalità del reato.
L’intervenuta riabilitazione restituisce:
– il diritto di elettorato attivo ai condannati a pena che importa la interdizione perpetua dai pubblici uffici;
– il diritto ad ottenere l’autorizzazione all’attività di mediazione di veicoli usati e l’iscrizione nel registro degli esercenti il commercio.
Viepiù, con la riabilitazione può essere concesso il porto d’armi o la cittadinanza.
In concreto il provvedimento giudiziale concernente la riabilitazione è annotato nel certificato del casellario giudiziale, accanto alla sentenza di condanna cui si riferiscono. Essa, dunque, non viene cancellata per l’intervenuta concessione del beneficio: la sentenza, in caso di riabilitazione non viene iscritta nel certificato del casellario giudiziale rilasciato all’interessato.
Condanna e riabilitazione compaiono, pertanto, nel certificato richiesto dagli uffici che esercitano la giurisdizione penale e dagli uffici del pubblico ministero, nonché dal difensore su autorizzazione del giudice procedente nei casi previsti.
La riabilitazione NON fa tornare NULLO il casellario giudiziale penale (cioè la fedina penale), ma aggiunge alla annotazione della condanna la specificazione che è intervenuta riabilitazione.Ecco perché la riabilitazione fa tornare “quasi” incensurati.